Virus. Senza dubbio la parola del 2020. Forse insieme a lockdown che, a differenza di virus, è entrata solo quest’anno nel nostro vocabolario di uso comune.
Di virus, invece, si parla da sempre. Ne parlavano nell’antica Roma. Il virus era il veleno, il filtro, la pozione che ti uccide.
Ne parliamo noi, tutti i giorni o quasi, in questo anno fatidico.
Il virus. Un organismo al confine della vita che è in grado di riprodursi e vivere dentro altri essere viventi.
Il virus. Un programma informatico che si auto-riproduce e auto-diffonde, in grado di danneggiare il computer che lo ospita.
Due definizioni apparentemente molto diverse. Due concetti diversi. Due virus diversi.
Ma ne siamo veramente sicuri?
Potremmo rivolgerci al Dr. Rod Daniels, virologo britannico del National Institute for Medical Research, e a Jack Clark, produttore del software antivirus più usato al mondo, McAfee.
Secondo l’illustre ricerca condotta da questi due massimi esperti, nei loro settori, il virus sarebbe uno soltanto.
Perché le somiglianze tra virus biologici e virus informatici sono molto più numerose di quanto chiunque di noi potesse pensare.
Una delle più strane somiglianze riguarda in effetti la loro origine. Molti virus, infatti, nascono in Asia e si diffondono a partire da Est verso Occidente proprio come il Sole. Il Sars-Cov-2 ce l’ha dimostrato una volta per tutte.
Poi, è chiaro, tutti e due i virus – quelli biologici e quelli informatici – sanno travestirsi, nascondersi per infiltrarsi, rendersi non riconoscibili, non dare effetti apparenti e infettare.
Se guardiamo alla struttura poi – secondo la ricerca a quattro mani di Rod e Clark – i virus di entrambi tipi sono costruiti in modo identico. Li chiamano building blocks, componenti di costruzione. Si tratta di stringhe di elementi di base. Per i virus degli uomini, gli elementi di base possono assumere un valore su quattro (le famose basi azotate del DNA: guanina, adenina, citosina e uracile). Per i virus delle macchine, possono assumere un valore su due (i due elementi del codice binario che compone i bit: 0 e 1).
Come l’aviaria, la Sars o il nuovo coronavirus, anche il primo virus informatico della storia veniva dall’Asia. Si chiamava Brain. O anche Pakistan brain, dal nome del paese di origine.
Era il 1986 e la BusinessWeek lo definiva influenza pakistana. Vi ricorda qualcosa? Insomma gli uomini e le macchine sono uniti dalla stessa paura: i virus.
Nel mese di gennaio 2003, il virus di tipo worm Slammer provocò un blackout di Internet negli USA, nella Corea del Sud, in Australia e in Nuova Zelanda, con una sorta di “rotazione geografica”.
In seguito alla diffusione incontrollata del virus, il traffico di rete aumentò del 25%, causando peraltro gravi problemi all’operatività della stessa Bank of America.
Enormi danni sono stati successivamente causati da Lovesan, Mydoom, Sasser ed altri virus in grado di scatenare epidemie informatiche globali.
La rapida diffusione di questi temibili software nocivi ha ad esempio provocato la cancellazione di numerosi voli da parte di alcune compagnie aeree e la temporanea sospensione dell’attività di varie banche.
Sono tante le storie che potrei raccontarti.
La storia di Jonathan James, per esempio, un ragazzino di 15 anni, che riuscì a insinuarsi dentro i computer della NASA e del Dipartimento di Stato Americano.
Fu in grado di spiare migliaia di e-mail, contenenti molti documenti riservati, tra cui anche password di dispositivi militari, installando sui server dell’Agenzia Spaziale e del Dipartimento di Stato una backdoor. Una porta sul retro.
Attraverso i dati rubati, James si impossessò, inoltre, di un pezzo di codice di un programma della NASA.
Potrei raccontarti la storia del Morris Worm, che ha preso il nome dal suo creatore, Robert Tapas Morris, uno studente della Cornell University. Morris provocò un’epidemia su Arpanet, l’antenato di Internet nel 1988.
Il virus riuscì a infettare più di 6000 computer, il 10% del numero complessivo di computer presenti su tale rete.
Insomma, un bug nel codice novico che consentiva al virus di replicarsi e diffondersi, causando il completo assorbimento delle risorse disponibili e la conseguente paralisi del sistema.
Ma è a Cefalù che vorrei portarti. Nel 2008.
É una giornata come le altre. Ricevo una chiamata dai dirigenti competenti del Comune che mi avvisano di un fatto singolare.
Le postazioni di lavoro, le workstation, risultano inspiegabilmente bloccati.
Così mi dicono. Windows è impazzito. Si aprono maschere senza che nessuno che le apra. Non si riesce più a esplorare i file.
Il responsabile ha ricevuto più di 20 chiamate da venti operatori diversi. E altre continuano ad arrivare. L’anagrafe demografica è bloccata. Non si possono svolgere le attività essenziali di una pubblica amministrazione. Tutto il comparto finanziario è in tilt.
Per prima cosa, dico di intervenire subito. I concentratori di rete, hub switch, che sono responsabili della connettività interna tra i pc devono essere subito spenti. Sono costretto ad ammettere che è in atto un’infezione virale tra la rete LAN dell’ente.
Anche i pc aggiornati con l’antivirus sono stati violati. Tutte le macchine sono infette.
C’è voluto un po’ di tempo per risolvere la situazione.
Il primo passaggio è stato di installare una fix, che tecnicamente è un’applicazione-veicolo di patch che rintraccia il virus.
Una volta intercettato, il virus va messo in quarantena e bisogna aspettare che i produttori del software analizzino e isolino il nuovo virus in modo da realizzare una protezione. Un nuovo antivirus.
Quattro tecnici in giro per Cefalù a cercare di salvare il salvabile. Un intervento a cuore aperto.
Sia tra i biologi che tra gli informatici, nella storia recente si sono senza dubbio registrati molti passi in avanti.
Il primo virus a essere isolato dall’uomo è stato quello della febbre gialla, nel 1901. Il virus dell’influenza venne isolato nel 1930 da un maiale e tre anni più tardi dagli esseri umani.
Da allora, è dovuto passare un secolo perché i virologi sviluppassero le tecniche oggi imprescindibili e necessarie per isolare i virus e, non sempre, per neutralizzarli.
Dai tempi di Pakistan Brain, le cose sono cambiate più in fretta. Gli informatici sanno intervenire prontamente, spesso riescono a prevenire la maggior parte delle infezione e sono decisamente più preparati dei virologi ad affrontare il loro tipo di virus.
Questo avviene perché i virus delle macchine sono infinitamente più semplici di quelli degli uomini.Non solo perché le combinazioni dei Building Block sono su quattro invece che su due.
Ricostruire un virus informatico (e predisporre un eventuale vaccino) è cosa più semplice che ricostruire in laboratorio un organismo semi-vivente come il virus biologico.
Ad ogni modo, se è vero che i virus biologici esistono da sempre e che quelli informatici sono di molto più recente introduzione, sia negli uomini che nelle macchine i virus stanno aumentando la velocità di crociera.
Presto affronteremo nuove epidemie (speriamo più tra le macchine che tra gli umani) e ognuno di noi deve essere preparato.
I rischi di infezione informatica, molte volte, possono causare danni enormi e non parlo soltanto di temporanei disservizi. Le tue informazioni possono essere rubate. I tuoi dati personali finire in rete. Le tue foto intime possono essere divulgate. La tua reputazione può essere macchiata per sempre.
Ne sa qualcosa Justine Sacco.
I vaccini perfetti non esistono e un vaccino che sia efficace al 70% è già un buon risultato, tra i virologi. Nemmeno antivirus perfetti esistono e una strategia di prevenzione, soprattutto nell’informatica, è molte volte più efficace della cura.
Questo anno fatidico, che sarà ricordato nei libri di storia come il 1348 (l’anno della terribile peste nera) o il 1630 (l’anno della peste bubbonica che insanguina le pagine dei Promessi Sposi), ci ha insegnato che nessuno di noi è al sicuro.
Gli uomini e le macchine dovranno affrontare, sempre più spesso, questa paura che li accomuna.
Ed entrambi abbiamo un potente alleato. La Scienza. Che ha salvato gli uomini e creato le macchine.