Communication. La parola digitale per antonomasia. Hai mai sentito dire che vivere significa comunicare?
“Non si può non comunicare”.
Questo è il primo assioma della comunicazione secondo Paul Watzlawick e la sua scuola di Palo Alto. Tutto è, infatti, comunicazione.
Se ti è capitato di litigare con un amico sicuramente saprai che persino un silenzio può essere altamente eloquente.
Ecco, nel web, questi assiomi raggiungono l’apice della loro validità. Qualsiasi dato, è un’informazione. E l’informazione, per sua stessa definizione, comunica. Sei d’accordo?
Come nella realtà fisica, anche in quella virtuale, la comunicazione può essere oggetto di fraintendimenti. Esattamente con la stessa frequenza. Non pensare che, parlando di dati, capirsi possa improvvisamente diventare facile. Anzi. Molto spesso, la comunicazione digitale scatena tempeste di fraintendimenti molto più velocemente e con molta più intensità di quanto accada nella realtà.
Per dimostrarti quanto spesso può accadere, ti porto in una delle sedi più prestigiose della comunità linguistica italiana. Il palazzo dell’Accademia della Crusca.
Gennaio 2019, Firenze.
A Villa Medicea di Castello sta scoppiando uno scandalo che farà parlare l’Italia per giorni. E non si tratta di intrighi di palazzo. La famigerata Accademia della Crusca liberalizza finalmente espressioni che scatenano, da sempre, il doppio segno rosso e blu degli insegnanti di grammatica. Frasi come “siedi il bambino” ed “esci il cane” possono, da quel momento, essere accettate e messe a sistema dalla norma della lingua italiana.
I Social insorgono. La Crusca si piega al meridionalismo. Finisce la sacra inviolabilità della lingua italiana. Tutto è sdoganato, niente è più sicuro, nemmeno la grammatica. Insomma, gli accademici tanto blasonati forse, questa volta, hanno toppato.
Eppure, a ben guardare, tra gli indignati dei social non c’è neppure un linguista. Neanche a cercarlo palmo a palmo per tutta la mole dei post Facebook rossi di rabbia contro la Crusca. Gli esperti, si sa, fanno sempre meno clamore.
E, soprattutto, sanno bene che la grammatica è tra le discipline più mutevoli e deve, costantemente, adattarsi al cambiamento della lingua. Di alcune cose, però, siamo meno sicuri. Questa volta, forse, la lingua italiana non è cambiata.
I Grammar-Nazi che gridano allo scandalo sono di certo digiuni di linguistica. Ma soprattutto non ne vogliono sapere di fact checking. In effetti, basta un veloce controllo per trovare il riferimento che è costato alla Crusca la gogna mediatica. È una scheda di Vittorio Colletti che, peraltro, si intitola “Siedi il bambino! No! Fallo Sedere!”
Colletti, che – ça va sans dire – è effettivamente un linguista, rispondeva ai dubbi di un lettore sulla possibile transitività dei verbi intransitivi. Spiega il linguista che “siedi il bambino” da sempre è italiano regionale e può ormai essere classificato come italiano popolare, senza tuttavia arrivare ad accettarlo nella norma linguistica.
Basta leggere la scheda nella sua interezza per togliersi ogni dubbio sulla improprietà di linguaggio degli Accademici.
Eppure, l’immediatezza della social communication fa il resto.
Qualcuno decide che la Crusca va linciata e il popolo della rete obbedisce.
Internet e, ancora di più, i Social Network hanno inaugurato una forma di comunicazione che non ha precedenti.
Saper comunicare significa saper vivere. Esiste uno stretto rapporto tra la comunicazione e la relazione.
Comunicare incide fortemente sulla condizione dell’uomo. La comunicazione è uno strumento che influenza le nostre interazioni con amici, partner, colleghi, sconosciuti. La comunicazione è capace di determinare l’andamento positivo o negativo delle nostre relazioni.
Spesso, può essere non verbale. Dare una pacca sulla spalla, fare una carezza, stare accanto ad una persona o anche semplicemente tacere a volte comunica più di molte parole.
E come riconoscere la giusta comunicazione? Soprattutto con l’avvento dei Social Media, è diventato difficile rispondere ad un simile quesito.
Qualcuno ha scritto: “I primi telefoni serviranno per restare insieme anche a distanza. Gli ultimi per isolarsi anche in prossimità.”
Il problema è sempre lo stesso. Diffondere informazioni non sempre significa comunicare, perché spesso non abbiamo percezione di chi recepisce quelle informazioni, di come le interpreta e di come le diffonde a sua volta.
Poniamo che la Televisione riporti una notizia che, a dire di un certo gruppo di persone, è sconvolgente. Nessuno di loro può protestare attivamente. La natura stessa dello spettatore, o del lettore di un giornale, è in effetti passiva. Il clamore, se si crea, è destinato a spegnersi presto.
Con l’era social, però, tutto è cambiato. Facebook, anche più di Internet, ha dato voce a chiunque abbia voglia di averne. Tutti possono parlare di tutto.
E questo potrebbe sembrarci una florida, fiorente, illuminante democratizzazione definitiva del sapere. Un medico di Ortona può sostenere legittime ipotesi geopolitiche sulle elezioni in Giappone. Il preside di una scuola della provincia di Sondrio, che magari è appassionato di neuroscienze ma ha studiato letteratura, può giudicare con sufficienza il lavoro di un’équipe altamente specializzata che lavora in Colorado. E, soprattutto, può farlo in tempo reale, magari influenzando un’intera platea di internauti.
La vera rivoluzione della comunicazione viene compiuta da un nerd di Harvard che, nel 2003, crea un sito per raccogliere i documenti di identificazione degli iscritti al campus. Si chiama Facemash; oggi, ha decisamente sorpassato i confini di Harvard e conta 2 miliardi di utenti attivi.
Altri, prima, ci hanno provato. Qualcuno ricorderà MySpace. Ma Facebook introduce il like, uno strumento potentissimo che oggi è il segno universale dell’apprezzamento. Una pioggia di like corrisponde al successo sociale e comunicativo. E chiunque può ottenerlo.
Torniamo a Ortona, dove il medico che posta sulle elezioni giapponesi ha ottenuto un certo numero di like e una valanga di commenti di assenso. Questo, per quanto può capirne, lo rende automaticamente un esperto di geopolitica. O magari di linguistica.
Il gioco dei Social ha presto innescato un processo strano, ma prevedibile, nella condivisione delle informazioni.
Se tutti possono comunicare su tutto, gli esperti hanno inspiegabilmente perso la loro autorità. In effetti, i post del sociologo studioso del Giappone hanno meno interazioni di quelli del medico di Ortona. Chi stabilisce, allora, chi dei due ha più diritto di commentare le elezioni a Tokyo?
Chi stabilisce se “siedi il bambino” è espressione legittima?
Il pubblico della Crusca è, spesso, altamente selezionato, conosce le basi della linguistica e non percepisce alcuno scandalo rispetto alle prese di posizioni degli accademici.
Eppure, le loro tesi hanno meno impatto comunicativo e sono, quindi, destinate a rimanere nel silenzio.
In effetti, la Crusca non è nuova a certe manifestazioni di affetto da parte degli utenti di Facebook. Nel 2016, qualcuno ha trovato scandaloso l’inserimento nel vocabolario della lingua italiana da parte della Crusca dell’aggettivo petaloso, inventato da un ragazzino di Ferrara.
Peccato che la Crusca non abbia alcun vocabolario dell’uso e non avrebbe mai potuto inserire “petaloso” da nessuna parte.
Ad oggi, nelle 145.000 parole del dizionario dell’italiano contemporaneo 2021, edito da Zanichelli, petaloso non è mai menzionato.
La Crusca si era limitata a dichiarare che si trattava di una formulazione possibile.
Insomma, la comunicazione è cambiata radicalmente negli ultimi anni. Gli esempi possono essere decine e, dopo i vari chiarimenti, immaginare un popolo di nazisti della grammatica che dà addosso agli accademici della Crusca può farci sorridere.
Ma nessuno di noi è immune all’impatto comunicativo di certi messaggi.
Pochi si prendono la briga di verificare le informazioni che, ormai, circolano nel mondo dell’iper-connessione costante.
Nessuno di noi può rifiutarsi di entrare in questa selva oscura della web communication. La legge dei Social è implacabile: se non ci sei, non esisti. Resistere è possibile, ma riuscirci è difficile.
Certo, non è assolutamente vero che i Social non possono essere veicolo di una comunicazione sana e di un coerente e concreto scambio di idee.
Anche da parte di chi non è molto competente in materia.
Ogni tanto, basterebbe verificare le notizie. E magari smettere di linciare gli esperti.