Reputation o Se un tweet distratto può portarti a diventare più famoso del Natale

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Reputation. Una parola che forse vale più di tutte le altre parole di questa raccolta. Sì, perché nel mondo dei professionisti, tutto è reputation. E non solo nel loro mondo.

Machiavelli scriveva che la reputazione di Mario, uomo nuovo alla politica nella spietata Repubblica Romana del I secolo avanti Cristo, fu console per sette volte solo grazie alla sua reputazione.

Se Caio Mario, oggi, potesse rinascere, probabilmente diventerebbe presidente degli Stati Uniti – un po’ la Roma del nostro tempo – solo grazie alla sua abile reputation di uomo d’affari. Anche se la politica non gli è poi interessata così tanto in passato.

Una storia che forse ti suona già familiare così.

Certo, i Romani non avevano internet. E grazie a questa assenza, riuscivano a insabbiare scandali enormi.

Oggi, invece, le notizie viaggiano veloci come un rimpallo di bit. E sul Russiagate di Trump si possono scrivere libri anche in Brasile.

La reputatio dei Romani è diventata Web reputation. Un concetto pericoloso.

Qualcosa che può costarti il posto di lavoro, le relazioni sociali, la tua stabilità mentale.

Mi dirai che anche prima, una reputazione guastata poteva costarti il lavoro e le relazioni sociali o influire sulla tua stabilità mentale e portarti a riempire il portafoglio di un analista. E hai anche ragione.

Solo che era molto più difficile, in passato, macchiare per sempre la reputazione di qualcuno. O comunque, era un’operazione più lenta. Molto più lenta.

Oggi, bastano pochi secondi. E la viralità di internet può metterti alla gogna in pochi secondi.

Per dimostrartelo, ti porterò con me all’aeroporto JFK di New York City. Il 20 dicembre del 2013.

Tra i milioni di passeggeri di uno dei più grandi hub del mondo, c’è Justine Sacco. Una manager che vive a New York e sta per imbarcarsi in un volo che la porterà dall’altra parte del mondo.

A Cape Town, in Sudafrica.

Justine sale sul volo e atterra a Heathrow, il più grande scalo di Londra, dove resterà per qualche ora prima di imbarcarsi di nuovo su un volo più lungo che la porterà a Città del Capo.

Probabilmente, Justine si sta annoiando.

E, mentre osserva la folla di passeggeri che si accalca per i vani di Heathrow, decide di passare un po’ di tempo su Twitter.

La Sacco non ha grande popolarità. Ha solo 170 follower. Poche decine, in fin dei conti. Quasi tutta gente che conosce. Quasi tutta gente di cui si fida. Che conosce la sua ironia e il suo estro.

Justine invia un tweet. Going to Africa, scrive. Sto andando in Africa. E aggiunge: Hope I don’t get Aids. Just kidding. I’m white! Spero di non prendere l’AIDS. Scherzo. Sono bianca! 

Ma intanto il volo sta per partire. Justine mette il suo Iphone in modalità aereo e, più o meno serenamente, sale sul volo.

11 ore e 35 minuti. È il tempo necessario di un volo diretto tra Londra e Cape Town, in Sudafrica. Il tempo necessario per rovinare per sempre la reputation di qualcuno. Qualcuno come Justine.

Sì, è vero che la Sacco ha pochissimi follower su Twitter. Ma, tra questi, c’è Sam Biddle.

Uno che si occupa di tecnologia e scrive per Gawker. Uno che gestisce un blog come Volleymag. Un blog da 15mila follower.

A New York è venerdì sera e tutta l’East Coast degli USA è su Twitter.

Il retweet di Biddle raggiunge in meno di un’ora cifre astronomiche di retweet.

In cima ai trends di Twitter, in meno di due ore, c’è l’hashtag #HasJustineLandedYet. O anche #AIDS e #IAC.

Insomma, mancano cinque giorni a Natale e Justine Sacco non lo sa ancora. Ma il suo nome è più twittato di #Christmas. Non è ancora atterrata, ed è già più twittata del Bambino Gesù.

Twitter vola più veloce dell’aereo che sta portando la Sacco a Città del Capo. “Tutto ciò che voglio per Natale è vedere la faccia di @JustineSacco una volta atterrata, nel momento in cui controllerà la sua segreteria telefonica”, twitta qualcuno dall’East Coast.

E in Sudafrica, l’appello trova subito terreno fertile.

Justine è ancora in volo e l’aeroporto si riempie di curiosi che vogliono fotografarla.

Quando atterra, non ha il tempo di accendere il telefono e la sua faccia è già su Twitter. Cinguettata da un angolo all’altro del mondo.

Justine Sacco non ha ancora acceso il telefono.

Ma è già stata licenziata.

Justine Sacco non ha ancora acceso il telefono e Buzzfeed ha già pubblicato un articolo dal titolo I 16 tweet di cui Justine Sacco si è pentita, con una raccolta di tweet non troppo gradevoli, tutti chiaramente antecedenti al 20 dicembre.

Justin Sacco non ha ancora acceso il telefono e la sua reputation è stata macchiata per sempre.

Ma prima o poi, quel volo atterra. E Justine riprende il suo smartphone. Non capisce subito cosa le sta accadendo. Non capisce perché un amico del liceo, che non sente da almeno 10 anni, le scrive che gli dispiace per lei. Gli dispiace per cosa?

Justine è confusa. Ha ricevuto molte chiamate da Hannah, la sua migliore amica. Hannah è preoccupata per lei. Le chiede di richiamare immediatamente, appena atterra.

Due anni dopo, Justine è diventata la protagonista di So You’ve Been Publicly Shamed, il capitolo di un’antologia pubblicata da Jon Ronson a marzo del 2015.

Tutto incentrato sulla sua incredibile vicenda.

Già nei giorni successivi a quel surreale pomeriggio del 20 dicembre, Ronson ha incontrato Justine. Lei gli ha raccontato di aver twittato con molta leggerezza.

Non poteva certamente pensare che qualcuno potesse prendere alla lettera quelle parole.

Ho pianto tutto il mio peso corporeo nelle 24 ore successive. Così si è espressa Justine, davanti a Ronson.

Sono bastate poche parole per farle perdere il lavoro. Poche parole, twittate a caso, con superficialità, per riempire di ironia un momento di noia, per rovinare la sua reputation.

Mentre gli attivisti la linciavano, in quel terribile Natale del 2013, i parenti sudafricani erano sconvolti. Una delle zie di Justine si è spinta a dire che la nipote ha macchiato in modo indelebile la storia della sua famiglia. Non solo la reputation in senso personale, quindi, ma addirittura la nomea di tutta la famiglia.

Justine non ha solo perso il lavoro per colpa di quel tweet. E la reputation, infatti, è un concetto che va molto al di là delle questioni professionali.

Justine ha creduto per anni, per esempio, di non poter incontrare nuove persone. Che nessuno avrebbe potuto innamorarsi di lei.

In fondo, tutti ormai siamo abituati a cercare il nome delle persone su Google. E il suo nome è indissolubilmente legato a questa vicenda. La sua reputation è legata a quel tweet in modo indissolubile.

Certo, Justine vorrebbe esercitare il suo diritto all’oblio. Ma l’evento è recente ed è virale. Non c’è molto da fare, a proposito.

Justine Sacco è finita a lavorare su un vecchio sito americano, Hot or Not, che consentiva – prima dell’avvento dei Social – di dare un voto all’aspetto di gente sconosciuta.

Sam Biddle, l’uomo che l’ha rovinata, li ha definiti come “due fastidiosi ex-qualcosa che sperano di tornare a combinare qualcosa insieme.”

Forse oggi Gaio Mario non sarebbe potuto mai diventare console della grande Roma per sette volte.

Forse dopo il primo mandato, le sue malefatte in Numidia sarebbero diventate di pubblico dominio e i Romani non l’avrebbero confermato al consolato.

Forse oggi, uno che faceva il businessman potrà diventare presidente USA, ma le macchie nelle sue reputation potrebbero impedirgli di essere rieletto.

Potrebbero, è chiaro.